Benessere Mentale

Secondo l’OMS la salute è definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”.

Dunque la salute mentale riveste un ruolo fondamentale nel nostro benessere.

La stessa OMS infatti, definisce la salute mentale come una componente essenziale della salute in generale, delineata come “uno stato di benessere nel quale una persona può realizzarsi, superare le tensioni della vita quotidiana, svolgere un lavoro produttivo e contribuire alla vita della propria comunità».

 

I determinanti della salute mentale

I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali includono non solo attributi individuali quali la capacità di gestire i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri comportamenti e le relazioni con gli altri, ma anche fattori sociali, culturali, economici, politici ed ambientali, tra cui le politiche adottate a livello nazionale, la protezione sociale, lo standard di vita, le condizioni lavorative ed il supporto sociale offerto dalla comunità. L’esposizione alle avversità sin dalla tenera età , ad esempio, rappresenta un fattore di rischio per disturbi mentali.

La salute mentale dunque è influenzata in larga misura dal contesto (ambiente, situazione economica, ecc.), ma anche dalle caratteristiche personali (patrimonio genetico, ciò che ci è stato trasmesso dai genitori, il proprio vissuto, ecc.).

La complessa interazione tra questi diversi elementi conduce alla percezione che ciascuno ha del proprio stato di salute mentale.

Ricerca permanente di equilibrio

Salute mentale, sofferenza e malattia non sono condizioni fisse, ma stati che si modificano lungo l’arco della vita.

La salute mentale è una sfida costante che mira alla ricerca di un equilibrio tra i diversi fattori che la possono influenzare. Ogni nuova situazione di vita la può destabilizzare. Disporre di risorse e di un sostegno adeguato può contribuire a mantenere questo equilibrio.

Gruppi più a rischio

 

A seconda del contesto locale, alcuni individui e gruppi sociali sono molto più a rischio di altri: sono per esempio (ma non necessariamente) i membri delle famiglie che vivono in situazioni di povertà, le persone affette da malattie croniche, i neonati e i bambini abbandonati e maltrattati, gli adolescenti che fanno uso per la prima volta di sostanze psicoattive, le minoranze, le popolazioni indigene, le persone anziane, le vittime di discriminazioni e violazioni dei diritti umani, i prigionieri e le persone che vivono situazioni di conflitto, catastrofi naturali o altre emergenze umanitarie.

In molte società i disturbi mentali legati all’emarginazione, all’impoverimento, alle violenze e maltrattamenti domestici, all’eccessivo carico di lavoro e allo stress inducono crescente preoccupazione, soprattutto per la salute delle donne.

 

Conseguenze sulla salute

Le persone con disturbi mentali sperimentano tassi di disabilità e di mortalità notevolmente più elevati rispetto alla media. Per esempio persone con depressione maggiore e schizofrenia hanno una possibilità del 40-60% maggiore rispetto al resto della popolazione di morte prematura, a causa di problemi di salute fisica, che spesso non vengono affrontati (come cancro, malattie

cardiovascolari, diabete o infezione da HIV), e di suicidio. Esso è la seconda causa di mortalità nei giovani su scala mondiale. Spesso i disturbi mentali influiscono su altre malattie, quali ad esempio il cancro, le malattie cardiovascolari e l’infezione da HIV/AIDS, e sono a loro volta influenzate da queste; e pertanto necessitano di servizi comuni e un’attiva mobilitazione di risorse. Per esempio, è stato infatti dimostrato che la depressione può causare una predisposizione all’infarto del miocardio e al diabete; i quali a loro volta aumentano il rischio d’insorgenza di una depressione.

Si è constatato inoltre che spesso i disturbi mentali si accompagnano ai disturbi da uso di sostanze psicoattive. La depressione da sola rappresenta il 4,3% del carico globale di malattia ed è una delle principali cause di disabilità a livello mondiale, particolarmente nelle donne.

 

Salute mentale e Covid-19

La pandemia di COVID-19 ha avuto un forte impatto sulla salute mentale delle persone. Alcuni gruppi, tra cui operatori sanitari e altri lavoratori in prima linea, studenti, persone che vivono da sole, soggetti vulnerabili (tra i quali i detenuti e i migranti) e persone con disturbi di salute mentale preesistenti, sono stati particolarmente colpiti. In molti paesi, oltre all’effetto deleterio che le misure di contenimento del COVID-19 sembrano aver avuto sulla salute mentale della popolazione, la crisi ha aumentato alcuni tra i principali fattori di rischio per le malattie mentali quali disoccupazione, insicurezza finanziaria, povertà. In aggiunta a ciò, i servizi sanitari dedicati ai disturbi mentali, neurologici e all’uso di sostanze sono stati significativamente rallentati e in molti casi interrotti.

 

Come prendersi cura della propria salute mentale

Ecco i nostri consigli per migliorare la tua salute mentale:

· fare sport, meglio se all’aperto!

· imparare a riconoscere i propri punti di forza e rispettare i propri limiti

· coltivare i propri hobby

· Riposare a sufficienza durante la notte

· Seguire un’alimentazione sana ed equilibrata

· Ritagliarsi dei momenti per sè

· Imparare a gestire la rabbia

· Stare a contatto con gli altri coltivando rapporti sociali ed evitando l’isolamento

· Avere un atteggiamento positivo

· Ridurre l’esposizione all’uso nocivo dell’alcool

· evitare l’uso di sostanze psicoattive.

· in caso di eventi di vita avversi , seguire programmi di cura con personale specializzato

· Proteggere i bambini dagli abusi creando o rafforzando i sistemi e le reti territoriali di protezione dell’infanzia.

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L’intolleranza al lattosio, definita anche ipolattasia, si verifica in caso di mancanza parziale o totale della lattasi, ovvero l’enzima in grado di scindere il lattosio nei suoi due zuccheri semplici: glucosio e galattosio.  

È l’intolleranza enzimatica più comune ed è riconosciuta come intolleranza alimentare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

In Italia si ritiene che circa il 50% della popolazione sia intollerante al lattosio, anche se non tutti i pazienti manifestano sintomi.

ll lattosio è il principale zucchero del latte (ne rappresenta il 98%).

Lo ritroviamo nel latte di mucca, di capra, di asina, nel latte materno e non solo, oltre ad altri prodotti lattiero-caseari derivati. 

Quali sono i sintomi di una intolleranza al lattosio?

I sintomi più comuni coinvolgono il tratto gastro-intestinale.  

Insorgono da 1-2 ore a qualche giorno dopo l’ingestione di alimenti che contengono lattosio.  

La sintomatologia dipende anche dal cibo associato, in quanto è legata alla velocità di svuotamento gastrico.

Se il lattosio viene ingerito insieme ai carboidrati (specialmente quelli semplici), che aumentano la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi sono più probabili o più intensi, mentre se viene ingerito insieme a grassi, che riducono la velocità di svuotamento gastrico, i sintomi possono essere molto ridotti o addirittura assenti. 

Come sintomi specifici abbiamo dolori e crampi addominali, meteorismo, flatulenza, pesantezza di stomaco, senso di gonfiore gastrico, diarrea, stitichezza 

Come sintomi generici si potrà avere mal di testa, stanchezza, nausea, eruzioni cutanee, lesioni della mucosa orale, infiammazioni del tratto urinario, perdita di peso.  

Quali sono le forme di intolleranza al lattosio?

Esistono 3 forme di intolleranza al lattosio: genetica, acquisita e congenita. 

Forma Primaria definita anche genetica, è la più diffusa.

Si può manifestare nel bambino oppure tardivamente nell’adulto a causa di una riduzione progressiva della produzione di lattasi.  

Forma acquisita definita anche secondaria, è causata da altre patologie acute (come infiammazioni e infezioni dell’intestino) o croniche (tra cui celiachia, morbo di Crohn, sindrome dell’intestino irritabile) oppure in conseguenza a disordini nutrizionali.  

Molto spesso è transitoria, risolvendosi alla guarigione della causa responsabile. 

Altri fattori scatenanti possono essere terapie antibiotiche, chemioterapiche o con radiazioni ionizzanti che, in conseguenza della loro tossicità o di un’azione di inibizione diretta dell’attività lattasica, determinano ipolattasia. 

Forma congenita definita Congenital Lactase Deficiency (CLD), è una condizione molto rara, di origine genetica a insorgenza precoce, si manifesta sin dalla nascita nei primi giorni di vita del neonato. 

Il neonato sviluppa diarrea non appena nutrito con latte materno o formulato, dovuto ad una totale assenza di lattasi che persiste per tutta la vita. 

Come si effettua la diagnosi? 

La diagnosi per intolleranza al lattosio si basa, oggi, su due principali metodiche riconosciute dalla comunità scientifica: H2-Breath Test e Test Genetico. 

La principale terapia consiste nell’esclusione o riduzione delle fonti di lattosio dalla dieta, per un periodo transitorio o permanente a seconda della forma di intolleranza. 

Si sente spesso parlare di integratori di lattasi, utili appunto per le persone che non riescono a digerire il lattosio, per concedersi uno strappo alla regola o quando non siamo sicuri di ciò che ci accingiamo a mangiare. 

Cosa sono gli integratori di lattasi? 

Possono contenere la lattasi sotto forma di beta-galattosidasi oppure lattasi ottenuta da batteri lattici, muffe e lieviti (ad esempio il più comune è Aspergyllus), quest’ultima è la più specifica. 

È possibile prendere più di una compressa insieme, alcune sono anche masticabili, ma leggere bene e attenersi alla posologia indicata sulla confezione e/o sul foglietto illustrativo.  

Generalmente l’enzima deve essere assunto tra 5 e 30 minuti prima del pasto contenente lattosio. 

Quanto dura l’effetto dell’enzima lattasi? 

La durata d’azione dell’enzima non è fissa, è soggettiva, dipende dal proprio tempo di svuotamento gastrico che a sua volta dipende da vari fattori come se il cibo è solido o liquido, dalla combinazione degli alimenti, dal tipo di alimento se ricco di grassi o di zuccheri o di carboidrati, dalla propria velocità di masticazione, dall’acidità di stomaco e dalla motilità intestinale ecc. 

In ogni caso l’azione non è lunga più di 1-2 ore circa dall’assunzione dell’alimento contenente lattosio. Generalmente l’azione massima si ha tra 15 e 60 minuti dal momento dell’assunzione (prestare attenzione ai nuovi integratori con effetto retard). 

Richiedono la ricetta medica? 

Si possono acquistare principalmente in farmacia ed in parafarmacia e non necessitano di prescrizione medica. 

 

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Spesso imbarazzanti situazioni come frequenti eruttazioni o flatulenza sono dovute a due fenomeni correlati: l’aerofagia e il meteorismo.  

Cosa si intende con il termine aerofagia? 

Aerofagia, letteralmente, significa “mangiare aria” e il termine da un’idea assolutamente realistica di uno dei principali meccanismi che portano a ritrovarsi con la pancia gonfia dopo i pasti o in vari momenti della giornata.  

Ma come si fa a mangiare l’aria? È un fenomeno che avviene naturalmente quando si apre la bocca, si parla, si mangia o si beve.

Non tutta l’aria che entra nel cavo orale però giunge alle vie aeree ma in parte viene deglutita e può “gonfiare” lo stomaco: in parte può essere emessa attraverso l’esofago, in parte può passare nell’intestino.

Se però l’aria ingerita è troppa (per eccessiva masticazione o uso molto frequente di bevande gassate) possono derivarne disturbi, a volte aggravati se, oltre a quella ingerita, è prodotta altra aria in eccesso nel corso della digestione a causa di altre condizioni come la dispepsia funzionale o la sindrome del colon irritabile.  

Quali sono i sintomi? 

Le manifestazioni meno evidenti dall’esterno, o comunque “mascherabili” senza troppa fatica, ma in ogni caso decisamente sgradevoli da sperimentare, consistono nella sensazione di eccessiva pienezza, fastidio e tensione addominali, spesso associate alla comparsa di pancia gonfia.

In aggiunta, il gonfiore a livello dello stomaco può interferire con il battito cardiaco, dando luogo a tachicardia. 

Ancora più difficili da tollerare sono i sintomi legati all’espulsione più o meno improvvisa, repentina e “controllabile” dell’aria contenuta in stomaco e intestino: eruttazioni, turbolenze intestinali, meteorismo, flatulenza.

Altri sintomi associati possono essere irregolarità intestinali (diarrea o stitichezza), dolori e spasmi addominali, mancanza di appetito, sonnolenza e mal di testa dopo aver mangiato. 

Quali sono le cause dell’aerofagia?

Sicuramente una masticazione veloce e/o un abuso di bevande gassate possono essere la principale causa di aerofagia.

Tuttavia, i sintomi gastrointestinali possono dipendere da malattie più serie come malattia da reflusso gastroesofageo, ernia iatale, ulcera peptica, sindrome del colon irritabile, malattie infiammatorie intestinali croniche (come colite ulcerosa e malattia di Crohn).

Da non sottovalutare, infine, le cause psicologiche di aerofagia e meteorismo, condizioni di ansia e stress, in grado di influire negativamente sia sulla masticazione sia sulla digestione. 

Rimedi contro l’aerofagia 

Esistono diversi rimedi naturali in grado di ridurre il gonfiore addominale.

Il più importante è il carbone vegetale, prodotto a partire da legni naturali selezionati e sottoposti a un particolare processo di combustione.

Il carbone vegetale attenua il gonfiore addominale “sequestrando” i gas intestinali per assorbimento sulla sua superficie ed è generalmente ben tollerato.

Per ottenere i benefici attesi, va assunto con regolarità, lontano dai pasti. 

Di grande aiuto sono anche tisane con estratti di piante carminative che agiscono favorendo l’eliminazione di aria, la digestione e aiutano a prevenire il gonfiore addominale: tisane al finocchio, alla melissa, all’anice, alla menta o un tè leggero con un po’ di limone.  

L’assunzione regolare di bevande probiotiche e periodica di fermenti lattici concentrati può aiutare a migliorare la composizione e la funzionalità della flora batterica intestinale, ottimizzando la fermentazione delle sostanze nutrienti che arrivano nell’intestino e riducendo la produzione di gas indesiderati.  

E come farmaci? 

Tutti conosciamo e abbiamo utilizzato almeno una volta nella vita farmaci come Mylicon gas , Geffer, prolife zero gas.

Rientrano tutti nella categoria dei procinetici, contenenti dimeticone o simeticone che esercitano un’azione procinetica, stimolando la motilità del tubo digerente e un’azione “antischiuma”, scomponendo le bolle di gas che causano la sensazione di pancia gonfia tipica dell’aerofagia, facilitandone il riassorbimento e l’espulsione.

Così facendo, viene ridotto l’ingombro dovuto ai gas e, quindi, il gonfiore e i disagi che lo accompagnano. 

Altri rimedi anti-aerofagia sono di tipo comportamentale e riguardano le modalità di assunzione di cibi e bevande, masticazione e deglutizione.

In particolare, è fondamentale: 

  • mangiare in un ambiente rilassato e senza fretta, tenendo lontani i pensieri che possono generare ansia e stress
  • masticare lentamente, con cura, a bocca chiusa
  • bere con calma, a piccoli sorsi
  • non parlare mentre si beve o mangia
  • non introdurre in bocca un nuovo boccone finché non è stato deglutito il precedente
  • mangiare da seduti, in una posizione comoda, ma mantenendo la schiena diritta, per favorire la discesa dei cibi nello stomaco
  • fare una passeggiata dopo ogni pasto.

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I disturbi alimentari (DCA) sono un insieme di patologie caratterizzate da alterazioni nelle abitudini alimentari con particolare preoccupazione per il proprio peso corporeo e per le proprie forme.  

Generalmente sono disturbi che insorgono in adolescenza con alcuni tratti caratteristici: 

  • Riduzione dell’introito di alimenti 
  • Digiuno 
  • Crisi bulimiche 
  • Vomito autoindotto 
  • Utilizzo di anoressizzanti, lassativi, diuretici 
  • Aumento dell’attività fisica allo scopo di ridurre il peso 

I principali disturbi alimentari sono determinati da: 

  1. anoressia nervosa
  2. bulimia nervosa
  3. disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder).  

Sono tutti caratterizzati da un rapporto patologico con l’alimentazione e con il proprio corpo.

Il paziente che ne soffre manifesta principalmente paura di ingrassare ed un cattivo rapporto con il cibo che si manifesta spesso con ansia nei confronti degli alimenti e della loro assunzione. 

Soltanto una piccola percentuale delle persone affette chiede aiuto e riconosce il disturbo.

Generalmente, infatti, sono i familiari che si accorgono del problema, allarmati dall’eccessiva perdita di peso.

Ma spesso la persona direttamente interessata tende a negare e a ribadire di non avere nessun problema.

In altri casi invece la persona, seppur consapevole, tende a vergognarsi e a non parlarne con nessuno se non dopo molti anni.  

Una delle caratteristiche predominanti nella persona affetta dal disturbo alimentare è l’alterazione dell’immagine corporea.

Spesso chi soffre di anoressia non riesce a valutare il proprio corpo in modo oggettivo ma tende a vedersi con i fianchi troppo larghi, con le gambe troppo grosse, con la pancia troppo grande o in generale sovrappeso: questo capita soprattutto nel sesso femminile.

Tra gli uomini invece, il disturbo si manifesta con preoccupazioni rivolte ad un corpo percepito come poco muscoloso.  

Scopriamoli più in dettaglio. 

Cos’è l’anoressia nervosa? 

L’anoressia nervosa è il più conosciuto tra i disturbi del comportamento alimentare.

È  un disturbo caratterizzato da intensa paura di ingrassare e alterata relazione con il proprio corpo, determinando nei pazienti gravi restrizioni alimentari. 

Il pensiero è focalizzato costantemente sul cibo e sulle preoccupazioni per il proprio corpo. 

L’eccessiva magrezza, causata da diete sempre più rigide, porta a seri problemi di salute che possono essere anche fatali a causa della malnutrizione e del vomito autoindotto.  

Cos’è la bulimia nervosa? 

La bulimia nervosa, il cui termine significa “fame da bue”, fa parte dei disturbi del comportamento alimentare e che si caratterizza per la presenza di abbuffate seguite da vomito o altri comportamenti di compenso. 

L’abbuffata, nella bulimia, è seguita dal bisogno immediato di svuotare lo stomaco attraverso il vomito auto provocato.

Il vomito viene utilizzato sia per ridurre la sensazione di dolorosa pienezza dell’addome che per limitare l’eccesso calorico. 

Non solo il vomito, ma anche altri comportamenti vengono utilizzati per ridurre l’introito calorico: 

  • uso inappropriato di lassativi 
  • digiuno prolungato dopo le abbuffate 
  • esercizio fisico eccessivo 

 È possibile inoltre osservare anoressia e bulimia nella stessa paziente e in periodi differenti.  

Binge eating disorder: cos’è?

Il binge eating disorder (BED), in italiano tradotto con disturbo da alimentazione incontrollata, è stato solo recentemente inserito fra i disturbi del comportamento alimentare.

Come per la bulimia nervosa, il BED si caratterizza per la presenza di abbuffate che però non sono seguite da comportamenti compensatori (ad es. il vomito).

Il BED determina, di norma, un notevole aumento di peso. Tale disturbo porta spesso a obesità grave con conseguenti complicazioni. 

Chi soffre di binge eating disorder spesso ha una lunga storia di numerose diete fallite.

Questi continui fallimenti sono dovuti al fatto di non aver mai riconosciuto il disturbo psicologico che è alla base del disturbo del comportamento alimentare e della susseguente obesità. 

In conclusione dunque, il disturbo alimentare può essere associato anche ad altre patologie psichiatriche come la depressione, disturbi d’ansia diffusi, abuso di alcool o sostanze o altri disturbi di personalità.  

Si possono manifestare in aggiunta comportamenti autolesionisti o tentativi di suicidio. 

Si tratta perciò di disturbi non soltanto invalidanti ma anche potenzialmente mortali che non vanno sottovalutati.

Pertanto il trattamento deve includere necessariamente un approccio multidisciplinare che coinvolge diversi specialisti: 

  • psichiatri e psicoterapeuti 
  • dietisti e nutrizionisti 
  • endocrinologi 
  • gastroenterologi  
  • medici internisti 

 

L’obiettivo del trattamento sarà quello di aiutare il paziente a recuperare sane abitudini alimentari, ridurre le crisi alimentari, intervenire sui pensieri negativi, trattare e risolvere eventuali patologie associate, ridurre le possibili ricadute nel tempo. 

Tuttavia, il primo passo resta il riconoscimento del disturbo da parte del paziente 

Se temi di essere affetto da un disturbo alimentare non esitare a chiedere aiuto. 

La pillola contraccettiva è un farmaco utilizzato da circa il 20% delle donne principalmente al fine di prevenire un’eventuale gravidanza.

Ci sono diverse formulazioni e diversi nomi ma ne esistono due tipi a base di ormoni sintetici:

  • una detta combinata, in quanto contenente sia estrogeni che progesterone
  • l’altra chiamata minipillola, che contiene solo progesterone.

La prima, grazie alla componente estrogenica, impedisce lo sviluppo del follicolo ovarico, mentre la componente progestinica impedisce il rilascio della cellula uovo nelle tube di Falloppio.

Così addensa il muco della cervice uterina creando un ambiente viscoso che impedisce la motilità degli spermatozoi, come nel caso della minipillola. 

In funzione dello scopo per cui viene prescritta, le interazioni tra farmaci e pillola contraccettiva rappresentano un motivo di preoccupazione per tutte quelle donne che assumono regolarmente la pillola e si trovano a dover assumere altri farmaci.

In particolare, con l’arrivo della bella stagione, è l’antistaminico a suscitare dubbi e paure. 

Come si verificano le interazioni tra farmaci?

In generale possiamo dire che le interazioni farmacologiche sono modificazioni dell’effetto del farmaco dovute all’uso contemporaneo di un altro medicinale, all’assunzione di cibo o di integratori, determinando un aumento o una riduzione dell’azione terapeutica.

Si parlerà di interazioni farmacodinamiche, quando un principio attivo modifica la risposta dei tessuti nei confronti dell’altro, o perché esercita lo stesso effetto o perché ne blocca l’effetto.

Si parlerà di interazioni farmacocinetiche, quando un farmaco altera l’assorbimento, la distribuzione, il legame alle proteine, il metabolismo di un altro.

Questo genere di interazione altera l’entità e la durata e non il tipo d’effetto. 

Fortunatamente questo fenomeno è spesso previsto grazie alla continua attività di ricerca effettuata dalle case farmaceutiche produttrici e dall’attività di monitoraggio da parte dell’istituto di farmacovigilanza, per cui tutti gli effetti indesiderati correlati sono stati schedati e riportati sul bugiardino di ogni singolo farmaco. 

Posso assumere pillola contraccettiva e antistaminico insieme? 

Nello specifico gli antistaminici di nuova generazione, ossia quelli che bloccano in modo selettivo solo i recettori H2 riducendo l’insorgenza di sonnolenza, non interagiscono con la pillola anticoncezionale.

In quanto entrambi non hanno gli stessi recettori come target della loro azione terapeutica né influenzano reciprocamente il percorso che effettuano all’interno dell’organismo. 

Di contro, invece, resta in dubbio la possibilità di utilizzo di farmaci antistaminici di vecchia generazione perché sono stati registrati casi di gravidanze indesiderate per le quali non esistono studi che ne stabiliscano la relazione causa-effetto. 

Di solito i farmaci che tendono ad interferire con i contraccettivi orali sono alcuni tipi di antibiotici, che ne riducono l’efficacia contraccettiva, l’utilizzo di particolari antidepressivi invece, determinano l’aumento dell’azione della pillola, in particolar modo aumentano anche gli effetti collaterali come la ritenzione idrica.

Risulta essere importante avvisare il medico che si sta assumendo la pillola in caso di prescrizione di un cortisonico, infatti l’assunzione contemporanea del contraccettivo può incrementare l’effetto del betametasone oppure prolungare l’emivita di idrocortisone e desametasone. 

Importante anche non trascurare di informare il medico o il farmacista in caso di prescrizione o consiglio di integratori a base di iperico, fitoterapico consigliato per trattare i disturbi della depressione lieve poiché in base al dosaggio può ridurre la copertura contraccettiva. 

Vale la regola anche di limitare l’uso del pompelmo: contiene un principio attivo che può alterare il metabolismo epatico di molti medicinali, tra cui la pillola. 

Il nostro consiglio? 

In caso di dubbio parlare sempre con il proprio ginecologo o farmacista di fiducia al fine di mantenere la giusta aderenza al piano terapeutico. 

La secchezza nasale è un disturbo che colpisce molte persone è può essere determinato da diverse condizioni.

Può causare disturbi nella respirazione, alterazioni dell’olfatto, formazione di croste, prurito e sanguinamento.

Tendenzialmente, in assenza di altre patologie, si manifesta con l’avanzare dell’età a causa dell’atrofia delle strutture che secernono muco che può determinare rinite atrofica. 

Perché la secchezza nasale causa problemi?

Il muco svolge prevalentemente due azioni chiave per la nostra salute: 

  1. intrappola tutte le sostanze nocive che inaliamo, come virus, batteri, polveri e pollini
  2. mantiene umida la mucosa

Le mucose nasali producono all’incirca 300ml di muco al giorno.

Una volta imprigionati gli agenti patogeni, questi vengono allontanati dalle cosiddette cellule ciliate che si muovono progressivamente pulendo le cavità nasali.  

Quali fattori possono determinare secchezza nasale? 

La causa della secchezza può dunque essere determinata da diverse condizioni come: 

  • infezioni localizzate 
  • malattie sistemiche 
  • come effetto collaterale di alcuni farmaci, ad esempio i decongestionanti nasali e gli antistaminici 
  • un clima molto secco 
  • il contatto con agenti irritanti come il fumo, la polvere o i pollini. 

Come trattare la secchezza nasale?

Innanzitutto la prima cosa da fare è garantire una corretta reidratazione della mucosa con specifici lavaggi, eseguiti con apposite preparazioni a base di soluzioni saline isotoniche, acido ialuronico o con della semplice soluzione fisiologica.  

È importante ripetere i lavaggi quotidianamente per favorire una corretta igiene delle mucose e allontanare eventuali patogeni come virus e batteri.

È inoltre fondamentale una corretta areazione degli ambienti se si ipotizza una causa ambientale e la riduzione del contatto con sostanze irritanti come il fumo o polvere.  

Spesso può trattarsi anche di un disturbo legato all’attività lavorativa in seguito all’inalazione di sostanze irritanti; sono infatti numerosi gli ambienti lavorativi dove compare questo rischio: falegnameria, industria metallurgica, cantieri edili, industrie chimiche, industrie di produzione di carta e stampanti, agricoltura ecc.

In questi casi è fondamentale l’utilizzo di mascherine protettive delle vie aeree.

Può essere utile l’utilizzo di umidificatori? 

In casa invece, può tornare utile l’utilizzo di umidificatori che regolino adeguatamente l’umidità dell’aria e il ricorso a suffumigi effettuati semplicemente facendo bollire una pentola di acqua e successivamente posizionandosi col capo su di essa, coperti con un asciugamano e respirando i vapori.

Nell’acqua possono essere aggiunte anche specifiche preparazioni di oli essenziali. 

In ultimo, nei casi più critici, complicati da croste o sanguinamento, sono utili speciali preparazioni in gel con proprietà idratanti e lenitive che puoi richiedere al tuo farmacista, da apporre direttamente nella mucosa nasale e lasciar assorbire lentamente, più volte al giorno. 

Cosa fare in caso di allergia? 

Se invece soffriamo di allergia, riniti o naso chiuso e stiamo assumendo farmaci antistaminici o decongestionanti nasali, è bene non farne abuso e seguire la posologia indicata nel foglietto illustrativo o consigliata dal tuo farmacista. 

Infine, se alla secchezza nasale si associano altri sintomi, come febbre alta, difficoltà respiratorie, aritmie cardiache, è opportuno consultare il tuo medico. 

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In caso di rinite allergica, quando preferire un decongestionante ad un antistaminico?

Quando invece un antistaminico naturale? 

Il termine rinite si riferisce ad un’infiammazione nasale che interessa la membrana mucosa che riveste l’interno del naso.

Questa condizione si verifica quando il sistema immunitario si sensibilizza a una sostanza innocua, nota come allergene, e vi reagisce con una risposta eccessiva. 

I sintomi tipici della rinite allergica sono la rinorrea (volgarmente definita “naso che cola”), la congestione nasale, la perdita del senso dell’olfatto e la diminuzione del senso del gusto, il prurito nasale, il mal di testa e gli starnuti.

Le opzioni terapeutiche topiche per alleviare questi sintomi includono antistaminici, corticosteroidi, decongestionanti nasali e lavaggi nasali. 

Scopriamo insieme qualche rimedio!

RINAZINA ANTIALLERGICA 

Rinazina Antiallergica è uno spray nasale antistaminico: il suo principio attivo, Azelastina cloridrato, tratta i sintomi della rinite allergica, come prurito nasale, starnuti causati da pollini, pelo di animali e acari della polvere. 

L’azelastina è una molecola, appartenente alla famiglia degli antiallergici, che agisce a più livelli: 

  • Inibisce l’effetto dei principali mediatori dell’infiammazione causata dall’allergia, soprattutto antagonizzando l’azione dell’istamina (effetto antistaminico) 
  • Riduce l’attività dei mastociti, le principali cellule immunitarie implicate nelle reazioni allergiche (liberano istamina) 
  • Riduce l’iperattività bronchiale associata all’infiammazione. 

Queste caratteristiche conferiscono a Rinazina Antiallergica un effetto antiallergico. 

Come si utilizza? 

La dose raccomandata è uno spruzzo dosato in ogni narice 1 o 2 volte al giorno. Non utilizzare per periodi superiori ai 7 giorni. 

Chi lo può utilizzare? 

Rinazina Antiallergica spray nasale può essere utilizzato da adulti e adolescenti di età pari o superiore a 6 anni per alleviare i sintomi della rinite allergica. 

FEXALLEGRA 

Fexallegra nasale è un medicinale utilizzato per il trattamento della rinite allergica che agisce in maniera mirata e veloce sui sintomi nasali. Ha una doppia azione antistaminica e decongestionante, grazie ai suoi due principi attivi:

  • la clorfeniramina, sostanza con azione antistaminica, che riduce il prurito nasale, gli starnuti e la rinorrea (naso che cola)
  • la tramazolina che agisce invece come decongestionante nasale

Questo antistaminico, sotto forma di spray nasale, rientra tra i rimedi per l’allergia stagionale tipicamente rappresentata da allergie ai pollini o per le allergie non primaverili causate da allergeni presenti tutto l’anno, come acari della polvere, muffe, forfora di peli di animali.

Come si utilizza? 

Con 1-2 spruzzi, per narice, 2-3 volte al giorno, Fexallegra nasale, grazie all’effetto vasocostrittore  e decongestione della mucosa, dà una piacevole sensazione di naso libero dopo cinque minuti. 

Chi lo può utilizzare?  

Adulti e adolescenti oltre i 12 anni di età.

Quando è necessario l’utilizzo di antistaminici naturali? 

I decongestionanti nasali possono essere utilizzati solo per breve tempo, comunque non oltre una settimana in quanto l’uso prolungato potrebbe causare il peggioramento dei sintomi che si vogliono alleviare.

Gli antistaminici purtroppo hanno lo svantaggio di indurre sonnolenza e di conseguenza non sempre possono essere assunti liberamente.

Ecco che in questo caso può risultare utile l’utilizzo di un antistaminico “naturale”.

FITOALLERGY SPRAY NASALE 

Il fitoallergy spray nasale ha un’attività antistaminica e antinfiammatoria: è indicato in caso di rinite allergica in fase acuta, migliora i sintomi dell’allergia come naso chiuso, prurito, difficoltà a respirare, naso che brucia. 

Qual è la composizione?

Acqua di mare, VEGETALIALO® (Acido Ialuronico di origine vegetale), bicarbonato di sodio, estratto glicerico di Perilla, estratto glicerico di The rosso, estratto glicerico di Drosera, estratto glicerico di Adhatoda 

Come agisce?

Acqua di mare con attività decongestionante, Drosera ad azione a livello bronchiale come spasmolitico, antibatterico e antiinfiammatorio, la Perilla in grado di inibire il rilascio di istamina, senza produrre gli effetti collaterali tipici degli antistaminici di sintesi come la sonnolenza e la scarsa capacità di concentrazione.

Risulta quindi utile per le naturali difese dell’organismo. 

Come utilizzarlo?

Uno-due puff per ogni narice: l’applicazione può essere ripetuta per 4-5 volte nell’arco della giornata.

È adatto anche ai bambini sopra i 3 anni e sotto i 40 kg.

Rinazina, Fexallegra e Fitoallergy: quali sono le differenze?

La scelta del rimedio per trattare la Rinite Allergica dipende sicuramente dalla gravità dei sintomi: farmaci antistaminici e decongestionanti per sintomi severi e rimedi naturali per sintomi di lieve entità!

Fexallegra spray nasale, avendo come principio attivo oltre che l’antistaminico anche un decongestionante, è consigliato a partire dai 12 anni e solo per brevi periodi di tempo.

Non è consigliato nei soggetti ipertesi, per chi soffre di glaucoma e fragilità capillare.

Rinazina Antiallergica spray nasale, ha come principio attivo solo l’antistaminico e può essere utilizzato a partire dai 6 anni.  

Gli spray nasali “naturali” come il Fitoallergy spray nasale, oltre che essere indicati a partire dai 3 anni, sono eccezionali non solo nel trattamento della Rinite Allergica, ma anche nella  prevenzione delle allergie dovute ad acari e pollini in quanto riescono a mantenere le mucose nasali pulite da eventuali allergeni e sempre correttamente idratate.  

Il paziente inoltre può trarre beneficio anche dall’uso di “lavaggi nasali” che riducono il contatto della mucosa nasale con l’allergene e portano sollievo alla mucosa irritata.

 

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A chi non è capitato almeno una volta di trovarsi a fine giornata con la sensazione di avere gambe pesanti e caviglie pesanti? 

Si parla di Insufficienza Venosa quando si manifestano sintomi come gambe pesanti, formicolii e affaticamento, caviglie gonfie con sempre più evidenti reticoli di capillari superficiali dilatati (teleangectasie), fino a comparire, nei casi più gravi, varici di alcuni tratti delle vene con aspetto nodoso e tortuoso.  

Le ragioni di tale condizione provengono, innanzitutto, da uno stile di vita scorretto e da una dieta alimentare poco equilibrata, complice anche la sedentarietà. 

Alimentazione e Insufficienza Venosa: quale connessione?

Uno stile di vita sano e un’alimentazione ricca di fibre e povera di cibi raffinati può aiutare a contrastare l’Insufficienza Venosa.

Da non trascurare l’attività fisica, evitando così lo stazionamento per lungo tempo e la sedentarietà.

Ad esempio, anche se per motivi di lavoro sei particolarmente sedentario, alzati ogni ora per fare 2 passi, così riattiverai la circolazione; se invece stai tanto tempo in piedi, alzati ogni tanto sulle punte per tenere viva la circolazione.
Particolarmente importanti risultano la camminata, la pedalata in bicicletta, il jogging e il nuoto utili per la contrazione dei muscoli del polpaccio che spinge il sangue accumulato in circolo; 

Può essere importante l’assunzione di determinati alimenti per contrastare l’Insufficienza Venosa?

Tra gli alimenti particolarmente indicati per aumentare l’integrità delle pareti venose spiccano senza dubbio i piccoli frutti estivi ricchi di flavonoidi come ciliegie, frutti di bosco, mirtilli neri, more, ribes.

Ricchissimi di antocianidine, bioflavonoidi in grado di aumentare la resistenza dei piccoli vasi, contrastare la permeabilità capillare e ridurre le infiammazioni a carico del tessuto connettivo. 

Da evitare salumi ed incassati, cibi preconfezionati e formaggi.

Attenzione anche ad alcolici e bevande zuccherini, preferire bevande drenanti senza zuccheri aggiunti. 

Non dimenticare di bere acqua, almeno 8 bicchieri al giorno. Ciò contribuisce alla regolazione della temperatura corporea, favorisce la digestione e rimuove le scorie metaboliche.

Altri cibi molto ricchi di flavonoidi sono i chicchi integrali di grano saraceno e orzo, gli asparagi, la scorza degli agrumi, il vino rosso, la menta piperita: in essi, la rutina e la quercetina svolgono un ruolo importante nel rafforzamento delle pareti dei vasi, riducendo sintomi da sanguinamento e gonfiori agli arti inferiori. 

Integratori per contrastare l’Insufficienza Venosa: funzionano davvero?

Gli integratori venotonici per gambe gonfie e pesanti sono formulati con sostanze che, in combinazione, supportano la sintesi del collagene, per la salute ed il tono dei tessuti connettivi, e sono importanti nel sistema preventivo di patologie legate a processi infiammatori e rottura dei vasi sanguigni.

Nello specifico, le sostanze fondamentali sono: 

  • Vitamina C 
  • Lisina, prolina e glicina 
  • Glucosammina e Condroitin Solfati 
  • Polifenoli 

I polifenoli, in particolare alcuni bioflavonoidi e proantocianidine oligomeriche (OPC), contenute nei semi di vite rossa, ippocastano e mirtillo, sono estremamente efficaci sul sistema cardiovascolare, in particolare a livello di vasi sanguigni, dunque vene e capillari.

Oltre a migliorare l’azione della vitamina C per la sintesi del collagene, la loro efficacia si estende a livello di fenomeni infiammatori, in particolare per quanto riguarda gli arti inferiori, della salute delle pareti delle vene, e dei ristagni negli interstizi dei tessuti, spesso causa del fastidioso gonfiore e pesantezza delle gambe. 

Tra le sostanze più diffuse tra i polifenoli impiegati negli integratori per la circolazione delle gambe vi sono: 

  • Vite Rossa 
  • Centella 
  • Ippocastano 
  • Diosmina 
  • Troxerutina 
  • Esperidina 
  • Mirtillo 

 

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La fibromialgia è una patologia ormai sempre più diffusa ma ancora poco conosciuta che colpisce circa 2 milioni di italiani: viene definita “sindrome” proprio perché caratterizzata da un insieme di segni e sintomi caratteristici che interessano principalmente i muscoli e le loro inserzioni sulle ossa.  

Da un punto di vista epidemiologico colpisce più spesso le donne in età adulta e il disturbo può comparire in modo graduale e aggravarsi nel tempo. 

Quali sono le cause della Fibromialgia?

Ad oggi le cause sono ancora sconosciute, ma si ritiene che un insieme di fattori possano concorrere alla comparsa dei sintomi, tra cui fattori genetici, infettivi, ormonali, traumi fisici e psicologici. 

Quali sono i sintomi?

Il dolore fibromialgico è caratterizzata da diffusi dolori muscolo-scheletrici, affaticamento, rigidità, problemi di insonnia e alterazioni dell’umore. 

Tuttavia, a causa della presenza di questi sintomi anche in altre patologie, è ancora di difficile diagnosi.

Inoltre non si riscontrano alterazioni nella analisi di laboratorio e non esistono test radiologici che possano diagnosticarla per cui, spesso, i sintomi possono essere considerati immaginari o non importanti.  

Fortunatamente, negli ultimi 10 anni, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito specifiche linee guida per la diagnosi.

Tali studi hanno dimostrato che determinati sintomi, come dolore muscolo-scheletrico diffuso e presenza di specifiche aree algogene, sono presenti esclusivamente nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica.

Pertanto la diagnosi di sindrome fibromialgica è basata unicamente sulla presenza di dolore diffuso in combinazione con la presenza di cosiddetti “tender points” (punti dolenti) evocabili alla digitopressione. 

Il dolore è sicuramente il sintomo predominante della fibromialgia che generalmente, si manifesta in tutto il corpo, sebbene possa iniziare in una sede localizzata, come il rachide cervicale e le spalle, e successivamente diffondersi in altre sedi col passar del tempo.  

Qual è il trattamento per la Fibromialgia?

Le opzioni terapeutiche per la fibromialgia sono molteplici e comprendono: 

  • Farmaci che diminuiscono il dolore e migliorano la qualità del sonno
  • Programmi di esercizi di stretching muscolare
  • Tecniche di rilassamento ed altre metodiche per ridurre la tensione muscolare
  • Modificazioni delle abitudini di vita che potrebbero determinare e/o perpetuare la sintomatologia fibromialgica
  • Supporto psicologico 
  • Terapia farmacologica 

Tra i farmaci che possono essere prescritti sono inclusi analgesici, antidepressivi e antiepilettici, con risultati variabili tra i vari pazienti. 

Per ottenere risultati migliori ad oggi è consigliato un approccio multifattoriale.  

 

PAROLA CHIAVE: CONSAPEVOLEZZA 

Spesso i pazienti affetti da fibromialgia si sottopongono a molti test e numerose visite in cerca di una risposta al loro malessere ma spesso con scarsi risultati, proprio perché non c’è alcun riscontro nelle analisi di laboratorio.

Questo porta a paura e frustrazione, che può solo aumentare la percezione del dolore.  

I familiari, gli amici e spesso anche il medico di famiglia possono infatti dubitare dell’esistenza di tali disturbi, aumentando l’isolamento, i sensi di colpa e la rabbia nei pazienti. 

Pertanto la consapevolezza che questa malattia esista e la conoscenza dei meccanismi che la inducono, può aiutare il paziente ad affrontare lo stato doloroso e gli eventuali cambiamenti dello stile di vita richiesti in nodo più appropriato. 

Il supporto psicologico è molto importante: può servire a superare la depressione che, molto spesso, subentra nelle fasi più acute e a migliorare i rapporti sociali. 

I familiari o le persone vicine al malato non devono sottovalutare lo stato di prostrazione sia fisico che psichico del paziente. 

La fibromialgia esiste, anche se poco conosciuta; quindi un atteggiamento comprensivo nei loro confronti può essere un’importante forma di aiuto. 

 

Il termine Cefalea indica il mal di testa comune che, secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, colpisce circa il 52% della popolazione mondiale, ossia una persona su due, con un picco di registrazione di casi con l’arrivo della primavera.  

Non è un caso che il primo giorno di primavera, il 21 Marzo,  è la giornata mondiale delle cefalee!  

Cefalea: perché in primavera è più frequente?

Le motivazioni sono da attribuire proprio alle caratteristiche di questa stagione: le giornate che si allungano, le escursioni termiche, la presenza di vento e l’aumento dei pollini nell’aria. 

Il ripristino dell’ora legale con un repentino aumento delle ore di luce determina un calo nella produzione di melatonina, ormone che viene prodotto in assenza di luce dalla ghiandola pineale e responsabile del ritmo sonno-veglia, con conseguenti disturbi del sonno. L’insonnia, con un effetto domino a cascata, determina la riattivazione del metabolismo, dunque maggior lavoro per il fegato e quindi maggior produzione di scorie che determinano stanchezza e mal di testa. 

I cambiamenti climatici, con frequenti sbalzi di temperatura hanno il loro ruolo nell’insorgenza del mal di testa, poiché influenzano lo stato di vasocostrizione e vasodilatazione dei vasi cerebrali, in particolare il tepore primaverile determina una vasodilatazione a livello delle arterie durali della meninge.

Il maggior afflusso di sangue in questi distretti determina l’attivazione di alcuni recettori del dolore localizzati nella zona esterna ai vasi, con conseguente contrazione dei muscoli cranici e insorgenza di cefalea.

Anche i tanto temuti “colpi di vento” possono provocare mal di testa da freddo andando a stimolare il nervo del trigemino che manda un impulso nervoso al cervello inducendo una vasodilatazione per contrastare la sensazione percepita e provocando comunque il disturbo. 

Recenti studi hanno dimostrato esistere anche una comorbidità tra cefalea e allergia ai pollini.

Gli allergeni inalati inducono un fenomeno irritativo che genera l’infiammazione dei seni respiratori, presenti sulle suture fra le ossa del cranio.

Questa condizione chiamata comunemente congestione provoca una compressione a livello del nervo del trigemino con comparsa del mal di testa. 

Come prevenire e trattare la cefalea primaverile?

Il modo più efficace per prevenire il mal di testa primaverile è sicuramente quello di mantenere una buona regolarità nelle attività quotidiane in modo da non subire una variazione del ritmo biologico e svolgere regolarmente attività fisica per facilitare il rilascio di endorfine, gli ormoni del benessere. 

In base alla causa della cefalea ed ai sintomi correlati, può risultare utile l’assunzione di integratori a base di: 

MELATONINA per contrastare i disturbi del sonno, facilitando l’addormentamento in modo naturale e fisiologico. 

MAGNESIO per sfruttare sia il suo potere rilassante sulle fibre muscolari, che quella di cofattore enzimatico in processi che concorrono al benessere neuronale. 

VITAMINE DEL GRUPPO B fondamentali per contrastare la spossatezza grazie alla loro funzione energizzante. Le vitamine del gruppo B, infatti, concorrono alla produzione di energia a partire da carboidrati, grassi e proteine. Hanno un ruolo importante anche nello sviluppo delle attività cerebrali andando anche a regolare la vasodilatazione. 

ANTISTAMINICO per contrastare l’infiammazione di natura allergica 

Anche la dieta svolge un ruolo importante per cui può risultare efficace evitare cibi ricchi di glutammato, cioccolato, formaggi, frutta secca, pomodori, vino e cibi ricchi di conservanti in quanto riducono la soglia di eccitabilità dei neuroni e aumentano il rilascio di istamina complicando i sintomi legati a stanchezza ed allergia. 

 

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